Cambia la vertice, Coppa Italia e una grande tragedia

La morte di Taccola

Da Evangelisti a Marchini attraverso Ranucci. L'arrivo di Landini e l'esplosione di Taccola. Giuliano capocannoniere. Poi, d'improvviso, il mortale malore di Cagliari. E quell'uscita di HH...

Il profondo rinnovamento voluto da Herrera portò a Roma anche Fausto Landini, un altro giovane con accenti da campione. Era uno spilungone che giocava centravanti, disarmonico, aspro in alcuni impegni tecnici, ma in rapida maturazione, anche fisica. Luciano Spinosi era invece arrivato l'anno prima. Così, si era formato quel trio di «gioielli», come vennero definiti, che Marchini avrebbe poi ceduto alla Juve, rischiando di provocare una sollevazione popolare. E partì la Roma di Herrera, ultimo dei maghi romanisti in quegli anni, ma fondatore della dinastia degli istrioni che governò sul calcio italiano, sconvolgendone le consolidate regole. Fu un avvio accecante, perchè Giuliano Taccola segnò dopo trenta secondi contro la Fio rentina: era il primo gol del campionato ma soprattutto il primo fortunato gol dell'epoca herreriana: un nuovo rinascimento, si diceva. Quella partita con la Fiorentina, la Roma finì con il perderla, e già avete capito l'antifona. Il rinascimento non era cominciato, neppure con H.H. Quel primo campionato della nuova era fu caratterizzato da tre eventi, due sportivi e uno umano e tragico. 1) la morte di Giuliano Taccola, 2) un ambiguo ottavo posto, 3) la conquista della seconda Coppa Italia. Taccola piacque subito ad Herrera, perchè aveva uno stile sobrio ed efficace. Non si poteva dire che fosse un centravanti di grande potenza, ma certo la sua azione era energica, rapida e risoluta: piena di senso del gol. Aveva appena varcato il fresco confine dei venticinque anni, era qualcosa di più di una promessa. L'anno precedente, il primo in maglia giallorossa, Taccola aveva disputato 29 partite, dunque era titolare inamovibile, e aveva segnato 10 gol, che erano bastati per eleggerlo cannoniere della squadra. Stavolta una sua prodezza aveva inaugurato il campionato: stava per nascere il leader che avreb be raccolto la tradizione, riaffermandola secondo gli epici accenti di Testaccio? Dopo dodici partite, Giuliano aveva segnato sette gol, poi era stato assente a lungo. Lo tormentava un'infezione di cui i medici non riuscivano a capire l'origine. A marzo, nella trasferta di Cagliari, Herrera lo inserì tra i convocati: H.H. smaniava, la sua Roma anemica aveva assoluto bisogno di Taccola, che però anche quel giorno andò in tribuna. A fine partita, negli spogliatoi, Taccola accusò un malore. In pochi minuti, entrò in coma e morì. Herrera, telefonando a Marchini, disse: «Visto presidente, non abbiamo perso. Peccato per quel ragazzo...». La sua avventura romanista, dirà (anzi scriverà) più tardi Marchini, poteva considerarsi finita in quel momento. Chi era Taccola e cosa era quella Roma è presto detto: i sette gol segnati valsero ugualmente a Taccola il titolo di capocannoniere della squadra, a fine campionato. Un primato che dava i brividi. Landini il «gioiello», con le sue 20 partite, aveva segnato 4 gol. n presidente era dunque Alvaro Marchini, subentrato a Ranucci che in realtà, con ammirevole spirito di bandiera, aveva accettato di fare da spartiacque tra lo stesso Marchini e l'On.Evangelisti.

La seconda Coppa Italia

L'angoscia per la morte di Giuliano Taccola si spense lentamente, prolungata nel tempo dai fitti impegni della Roma in quel periodo: e giocare era un tormento.«Ogni volta che rientravamo negli spogliatoi, dirà più tardi un collega, si faceva un silenzio assoluto, irreale. Quasi che ci aspettassimo di vederlo apparire, come quella volta a Cagliari: infuocato dalla febbre ma sorridente. Il dopopartita ci faceva paura, e questa suggestione durò a lungo». Tre giorni dopo quella maledetta domenica, la Roma era in campo a Brescia, per i quarti di finale di Coppa Italia. Perse 1-0, ma nella gara di ritorno surclassò il Brescia con gol di Capello, Cordova e Scaratti. Capello e Cordova: erano loro, insieme con Santarini, i leaders della Roma.
I successi raggiunti, l'apoteosi di Wembley (quando finalmente battemmo l'Inghilterra nella sua tana), la fulminea e vittoriosa carriera da allenatore, hanno ampiamente rivelato in seguito le potenzialità di Capello: che è rimasto tale e quale, caparbio, lucido, ostinato. Oltre che sapiente, naturalmente. Per Santarini hanno parIato le 344 partite in giallorosso. Chi non ha saputo affermare in pieno la propria personalità, ricchissima e accattivante, è stato Ciccio Cordova, per certi abbandoni del suo carattere un po' trascurato. Ma era un giocatore di grande talento.
Quella Coppa Italia si risolse felicemente per la Roma, che nel girone finale, composto anche da Cagliari, Foggia e Torino, non perse una partita e concluse in modo trionfale.
Era un torneo nato bene, del resto, perchè proprio nel primo turno (8 settembre 1968) era capitato il derby con la Lazio, e la Roma lo aveva vinto di misura (1-0, gol di Ferrari) ma con autorevole superiorità di gioco. Era stato lo spagnolo Peirò il maggior protagonista di quel successo: con sei gol segnati e con interpretazioni piene di quel suo capriccioso talento di cui aveva dato mille discusse dimostrazioni. In quella Coppa Italia, la seconda della storia romanista, Herrera affogò i risultati di un campionato stento: con una classifica curiosissima: 30 partite disputate, 30 punti; 10 gare vinte, 10 pareggiate, 10 perse; 35 gol fatti, 35 subiti. Era la singolare sigla della sua rivoluzione già fallita.

La Tragedia

Quel giorno che Taccola se ne andò

Nell'inverno 1969 Giuliano Taccola non aveva ancora compiuto 26 anni, e non attraversava un buon momento: febbri intermittenti, un'astenia acuta, un disagio morale che! rivava dall'assurdo conflitto che si era acceso in società, tra medici e allenatore. Bel Herrera insisteva nel ritenerIo in perfetta forma, pronto a giocare, i responsabili del settore sanitario continuavano a chiedere approfondite analisi e si opponevano all' impiego del centravanti. Herrera sosteneva, a voce sempre più alta, che i medici non capivano nientete. Taccola fu operato di tonsillectomia, ma le cose non migliorarono. Il presidente, chini decise di affiancare al dott. De Martino e al dott. Gasperini, che fino a quel momento avevano assistito Taccola, il prof. Visalli suo medico di fiducia. Visalli scoprì che il giocatore soffriva di un antico vizio cardiaco, che le continue tonsilliti avevano riportato in evidenza. Herrera se la prese anche con Visalli. Che ne sanno, loro medici non sportivi di un cuore di atleta? E fece giocare Taccola contro laSampdoria (Genova, 2 marzo 1969 0-0) seppure per un tempo solo. Tornarono le febbri. Il 16 marzo la Roma era in trasferta a Cagliari, e Herrera decise di portare anche Taccola, ma solo -assicurò- per non lasciarlo alla sua solitudine e alle sue malinconie; però Taccola partecipò all'allenamento di rifinitura della squadra. Il prof. Visalli raccomandò a Herrera di non farlo giocare tanto più che Taccola aveva di nuovo la febbre. Giuliano infatti andò in tribuna. A fine partita, conclusa sullo 0-0, Taccola andò negli spogliatoi per salutare i compagni. Aveva violente vampate di rossore, la febbre era aumentata. Accusò un pesante malore, che rapidamente si aggravò: poco dopo entrò in coma, nonostante un'iniezione di penicillina. I medici del Cagliari collaborarano con sofferto impegno al tentativo di salvare Taccola, che morì su quel lettino dell'infermeria dello stadio cagliaritano. Fu il dotto Gasperini a comunicare la notizia a Marchini, pregando il presidente di avvertire la moglie del giocatore, A Cagliari intanto, la Roma aveva preso l'aereo per il ritorno in sede: si sarebbe subitto recata a Fregene, in ritiro in vista di una partita di Coppa Italia a Brescia, il mercoledì. Cordova D'Amato e Sirena si rifiutarono di partire, e restarono accanto al loro compagno morto in modo repentino e misterioso. Da Roma, per telefono Marchini ordinò a Herrera di lasciarei liberi i giocatori -evidentemente traumatizzati dal drammatico avvenimento- per riconvocarIi il mattino dopo. Herrera tentò invano di opporsi. «E' finito il calcio, non si gioca più?», obiettò. Il giovedì, dopo i funerali di Taccola, Marchini si rivolse duramente all'allenatore, rinfacciandogli l'insensibilità dimostrata nella tragica vicenda.

Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport

 

Indietro